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CARLO BENETTI: “L’Italia ce la farà anche questa volta!”

Le nostre interviste al tempo del coronavirus

Carlo Benetti è Market Specialist di GAM Investments presso la sede di Milano. Si occupa dell’analisi di mercato e dei commenti a supporto del team commerciale italiano. In precedenza Carlo è stato Head of Institutional Clients presso Swiss & Global Asset Management. Prima di entrare a far parte di GAM Investments nel 2003, Carlo è stato Head of Institutional Sales per ING Investment Management. In precedenza ha lavorato con Pioneer Investments come Senior Portfolio Manager. Carlo Benetti ha conseguito una laurea in economia presso l’Università degli Studi di Siena. Opera dalla sede di Milano.

 

Dott. Benetti, il tempo sembra essersi fermato per tutti ai primi di marzo, quando le misure emergenziali per covid-19 sono diventate a carattere nazionale. Cosa ha pensato in quel frangente?

Hannah Arendt scrive che “è nella natura dell’inizio che qualcosa di nuovo sia cominciato senza che lo si possa ricondurre a qualunque cosa sia accaduta in precedenza” e aggiungeva che “questo carattere di sorprendente imprevedibilità è intrinseco a tutti gli inizi”. Ecco, credo ci si trovi all’inizio di qualcosa di completamente nuovo ma dai contorni indefiniti. Solo adesso, dopo mesi dall’inizio della pandemia, avvertiamo “che qualcosa sta cambiando, un debole presagio che non dice come e quando”, come fa dire Guccini al protomedico Filemazio. Come in tutti i grandi passaggi della Storia, nessuno ha compreso per tempo che stavamo entrando in un Maelstrom senza precedenti negli ultimi settant’anni. Ho definito i “Terribili dieci”, i giorni che vanno dal 6 marzo al 15 marzo, dieci giorni che se non cambieranno ili mondo, come John Reed pensava avrebbe fatto la Rivoluzione del 1917, costituiscono a mio avviso il cuore della cesura tra un “prima” e un “dopo”. Il 6 marzo il mancato accordo tra Riad e Mosca sui tagli alla produzione del greggio ne faceva precipitare il prezzo del 30%, un tonfo che non si vedeva dal 1991. Lunedì 9 marzo le borse reagiscono malissimo, l’11 marzo la Banca d’Inghilterra taglia i tassi di 0,50%, il 12 marzo Christine Lagarde, alla sua prima vera prova, commette un grave errore di comunicazione e le borse vanno a picco, Wall Street registra la seconda peggiore giornata della storia, la borsa italiana non aveva mai visto nella sua storia un crollo di -17%. Infine, domenica 15 marzo la Federal Reserve azzera a sorpresa i tassi ma il giorno dopo le borse reagiscono male, per la prima volta dal 2008 il mercato diffida dell’intervento di una banca centrale. Ecco, ho realizzato in quei giorni che gli effetti della pandemia avrebbero subito una brusca accelerazione, che ci stavamo trovando in quella “sorprendente imprevedibilità” che prepara nuovi scenari. La pandemia Covid-19 ha sollevato il velo di Maya, ha disvelato le fragilità dei sistemi politici, delle società, delle catene globali del valore. Stiamo avvertendo con incertezza che entriamo in un periodo del tutto nuovo, alcuni parlano di “nuova normalità”, espressione un po’ abusata e fuorviante. Penso che parlare di “nuova normalità” significhi negare la condizione ontologica della storia che è continuo cambiamento, incessante trasformazione. Credo che l’aggettivo “nuovo” sia ridondante quando si riferisce alla storia dell’umanità, che è ininterrotta novità, inarrestabile avanzamento.

Lei è un attento osservatore dei mercati finanziari internazionali. Come ci vedono “da fuori” in questo momento?

L’Italia è un grande paese, ha un sistema manifatturiero che vanta numerose eccellenze nella meccanica di precisione, nell’elettronica, nel settore bio-medicale, nonostante una narrativa che esalta quasi esclusivamente il valore dell’agro-alimentare e della moda, comunque eccellenti. Il marchio “made in Italy” gode di una formidabile riconoscibilità, il suo rating è davvero elevato. Eppure l’Italia delle eccellenze è entrata nel maelstrom della peggior crisi dal dopoguerra con una crescita dello 0,3% e un debito superiore al 135%, destinato a salire con disinvoltura verso il 150%. Si tratta di livelli che riportano indietro l’orologio delle pubbliche finanze agli anni Venti, ma all’epoca c’era da gestire la terribile eredità della Grande Guerra! Per quanto riguarda le condizioni generali delle nostre finanze, il rating è molto meno lusinghiero di quello del “made in Italy”, dobbiamo tenerne conto visto che abbiamo bisogno di credibilità per collocare il debito nei mercati dei capitali. Secondo l’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica, tenendo conto delle misure straordinarie adottate dal governo, il fabbisogno di quest’anno sarebbe di oltre 400 miliardi di euro. E’ vero che ci sono le protezioni offerte dalla BCE e dalle misure comunitarie, ciò nondimeno dovremo fare di tutto per mostrarci credibili. Nella seconda metà degli anni Quaranta la credibilità monetaria tenacemente voluta da Einaudi, De Gasperi, Del Vecchio fu la premessa per la ricostruzione. Ecco, direi che dovremmo tenere a mente la lezione di quegli uomini d’altri tempi e d’altra schiatta, che sapevano anteporre l’interesse generale del paese alla demagogia spendacciona e fare di tutto per tenere alta la credibilità del paese.

Parliamo di economia reale: ritiene adeguato e sufficiente quanto fino ad oggi approntato a livello governativo per far fronte ad una crisi senza precedenti dal Secondo conflitto mondiale?

Bella la domanda ma difficile la risposta. Come diceva il grande economista Lucio Battisti “lo scopriremo solo vivendo”! A parte le battute, le misure di sostegno decretate dal governo sono straordinarie, e altrettanto straordinarie le iniziative comunitarie. Il linguaggio dei capi di governo europei e della Commissione è decisamente diverso da quello di dieci anni fa, ai tempi della crisi del debito sovrano. Nessuno parla più di “compiti a casa”, c’è la consapevolezza dell’unicità di questa crisi che ignora i confini territoriali. II nostro paese, che come dicevo è entrato nella crisi in condizioni di precaria salute economica, fronteggia una caduta verticale della ricchezza, si parla di un PIL a -6% nel 2020. Potrebbe andare peggio, non perché “potrebbe piovere”, ma perché non sono possibili stime accurate fino a quando non si avranno migliori notizie dal fronte dell’emergenza sanitaria. Saranno gli sviluppi nel contenimento della pandemia a dettare i tempi e i modi di allentamento delle misure sulla mobilità personale e sulle attività produttive e commerciali. Quello di cui sono convinto è che proprio perché la crisi è così straordinaria, nessun paese in Europa potrà farcela da solo, neppure i paesi virtuosi del nord che condividono con i paesi del sud la stessa moneta e la stessa politica commerciale. “L’Europa sta perdendo l’Italia?” si chiedeva il Financial Times” qualche giorno fa; nessuno dovrebbe perdere nessuno, la reazione a questa crisi esige il massimo della cooperazione.

Una sua previsione: come e quando ci rialzeremo questa volta?

Stavolta mi sottraggo alla domanda! Non azzardo previsioni sul “quando” ma sul “come” mi sento di dire che esso sarà l’esito delle scelte e dei comportamenti di oggi. Il nostro futuro non è scritto sulla pietra di un destino già stabilito. “Come saremo” è la grande responsabilità che riguarda non solo gli uomini e le donne delle istituzioni ma anche tutti coloro che a diverso titolo sono coinvolti nella vita economica, sociale e culturale del paese. Se davvero questa è la crisi più grave dalla fine della guerra, allora bisogna pensare come pensarono i protagonisti di quell’epoca, “ci si deve mobilitare per tempo per vincere la pace”. Concluderei questa gradevole conversazione tornando a dove siamo partiti e cioè da Hannah Arendt: “il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità”. Sono parole di speranza, l’unica emozione che consente di vincere la paura.

Intervista a cura di Pino Management & Partners

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