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DALLA CULTURA D’IMPRESA ALL’INTRAPRESA CULTURALE

Il coraggio delle sfide in tempi di crisi

I management culturali sono ormai da diversi anni ambito di studio, approfondimento, analisi, confronto in dibattiti e convegni.

Ogni occasione è sempre valido strumento di opinioni su quello che si è fatto, su quanto si sta facendo, su quello che si ritiene opportuno promuovere in futuro su tematiche complesse e dalle innumerevoli sfaccettature.

Parlare di connubio fra modelli imprenditoriali e sistemi culturali è stato argomento difficile e soprattutto caratterizzato da eccessiva dialettica. Si è finiti quasi sempre unicamente a trattare cosa i primi devono sacrificare ai secondi o viceversa; per approdare, il più delle volte, alla ricercare di equilibri  -molto instabili- calcolati con estrema ratio oppure per sancirne una sostanziale inconciliabilità.

Sintesi di modi di pensare, talvolta raggiunti sulla scorta di impressioni e modi di vedere  stratificatisi nel tempo, calati e contestualizzati in maniera errata,  frutto –spesso e volentieri-  di scarsa conoscenza  di precise dinamiche sia del mondo della cultura, sia dell’economia.

L’impressione di fondo che se ne trae è che, soprattutto negli ultimi tempi, un po’ per mancanza della vera consapevolezza  dei benefici, in particolare delle importanti e reali opportunità in termini professionali ed occupazionali,  si sia preferito continuare –per inerzia- nel solito tran tran .

Sì è, per così dire, continuato  molto a teorizzare e poco a mettere in pratica.

Da qui, necessariamente, deve prendere avvio una nuova e promettente stagione sulla giusta valorizzazionedei management culturali, alla luce di quanto sta accadendo –a rapida velocità- anche nel nostro Paese, dove l’appannaggio esclusivo del Pubblico, ha sempre lasciato al privato solo ruoli secondari, al massimo da comprimario.

Il mutamento dei tempi è sotto gli occhi di tutti, cambiamenti epocali stanno trasversalmente attraversando ed interessando vari ambiti del sentire comune e non solo, della società, delle infrastrutture delle organizzazioni in generale. Dal modo di fare e concepire impresa all’impiego di nuove ed avanzate tecnologie, dalla ricerca ed innovazione alle scienze umane, impensabile immaginare che gli ambiti culturali, in tutte le loro componenti nessuna esclusa, potessero rimanere immuni.

Allo stesso tempo, ormai vi è piena consapevolezza e ragionevole presa di coscienza che il Public sia nei suoi organi centrali, quanto periferici, è in una fase di light duty o, come meglio si rappresenterebbe in termini economici, di soft market; per certo dove la programmazione d’investimenti importanti non è più certezza assoluta, anzi.

Il cambiamento “culturale” è evidente da più parti: proprio a partire dal Public si sollecita l’intervento del Private. Tutto ciò può avvenire solo a determinate condizioni: ovvero qualora dal concetto di “assistenzialismo culturale” si passi alla volontà di voler“fare impresa culturale”.

Pregiudizi di ogni ordine e grado devono per forza essere superati: sono purtroppo terminati –ben lontani- anche i tempi del mecenatismo (dicasi sponsorizzazioni), sui quali per troppo tempo ci si è adagiati. Oggi sia la grande impresa, quanto la piccola, purtroppo sono chiamate a fare i conti con ben altre priorità per garantire, talvolta, la loro stessa sopravvivenza.

Pertanto, solo chi è pronto e preparato a cogliere ed accettare cambiamenti può concorrere e dar vita ad organizzazioni culturali vive, che si confrontano sul mercato, che si cimentano nella ricerca di qualità e dinamicità dell’offerta; non per ultimo creare reali opportunità di lavoro!

Ad esempio, anche l’ associazionismo –benemerito- ha fatto il suo corso: i tempi e ritmi moderni non consentono più  a professionisti ed imprenditori di dedicarsi con fare filantropico ad attività che richiedono –oggi ancora di più- impegno e dedizione. Il modello giuridico dell’ associazione non ha tra l’altro mai conservato strumenti e idonei mezzi per sostenere processi di cambiamento: a giovani promettenti, con buoni percorsi  di studi, non si può solamente domandare opera di volontariato o al massimo –nella migliore delle ipotesi- offrire qualche misera borsa di studio.

Da un lato restrizioni finanziarie da parte di fondi pubblici e dall’altro modelli novecenteschi d’intrapresa culturale ormai non più in linea né con i tempi, né con le esigenze, fanno sì che il privato sia sempre più coinvolto –avviene già di più di quello che immaginiamo- con dinamiche tipiche dell’imprenditorialità moderna.

Penso e ritengo che il tempo della cultura sostenuta da mero “assistenzialismo” (economico e non solo) incontrerà  sempre più difficoltà in futuro.

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