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ECONOMIA E IMPRESE: DAL TEMPO SOSPESO AL TEMPO LIMITATO

Cosa di buono ci lascerà la pandemia

Il tempo dell’incertezza che stiamo attraversando (dapprima sospeso, ora limitato) sta radicalmente trasformando, nelle radici più profonde, i canoni della progettazione e programmazione. Non so se nulla sarà più come prima o se dovremo abituarci ad una nuova normalità, come molti sostengono. Perché sarà proprio il tempo a dircelo e spetterà in futuro alla storia decretarlo, con maggiore obiettività, utilizzando gli strumenti dell’analisi critica a distanza. A noi è dato però l’onere di vivere la contemporaneità, densa di stravolgimenti globali, rapidi e incalzanti che solo una pandemia mondiale poteva generare senza distinzione alcuna: sociale ed economica. Evento epocale, poiché straordinario, imprevedibile non saprei fino a che punto, ma sicuramente fuori dall’ordinario. Per altri aspetti e per assurdo, anche normale. Se nella normalità vogliamo annoverare mutamenti e cambiamenti ciclici che periodicamente investono l’umanità. Certo: materia di studio principalmente per statistici, attuari e demografi. Ma che investe tutti in quella sfera di (a)normalità percepita e vissuta dove, come in un vortice, siamo stati scaraventati. Il mondo sicuramente non potrà essere più come prima, ma in tutto questo c’è un segno dei tempi che dobbiamo imparare a cogliere. Spesso la capacità relazionale, la mancanza di argomenti, una certa avarizia di pensieri, corpi intermedi frapposti nelle società evolute, che peccano di non plasticità e duttilità, rallentano analisi oggettive. Ma c’è un mantra al quale difficilmente possiamo sottrarci. Le crisi o rappresentano ed innescano una escalation che inesorabilmente ci porteranno ad un fallimento, ad una perdita, oppure possono diventare un terreno fertile dove generare trasformazioni e prosperare nuova crescita. Molto dipenderà da come ci poniamo di fronte ai problemi, da quanta lucidità riusciremo a conservare. Se riflettiamo più attentamente, la pandemia ci sta facendo riscoprire ciò che ha senso e valore da ciò che non ha più senso e valore. Badate bene: questo vale prima di tutto, ed in generale, per la vita sociale e di relazione di ognuno di noi. Per meglio distinguere cosa veramente serve ed è utile da cosa non serve ed è inutile. Ma è possibile applicare e traghettare questa formula anche al mondo del lavoro, dei processi economici che lo governano? Io penso proprio di sì! Perché ci renderà più umani anche nell’affrontare tempi buoni come tempi cattivi. Soprattutto se analizziamo come l’intervallo temporale e l’alternanza fra “tempo buono-tempo cattivo” da inizio secolo si è praticamente accorciato. Di fatto, ogni tre-quattro anni, periodicamente (aspettando il successivo) entriamo o usciamo da una crisi che prevarica nazioni e confini: guerre fra Paesi, sistemi finanziari al collasso, economie instabili, politiche sociali, lavorative ed occupazionali in sofferenza, fenomeni migratori incontrollati, ecosistemi in caduta libera, oggi la pandemia. Ecco perché trovo abbastanza banale ed anche inappropriata una vulgata che vorrebbe risolvere tutto con il concetto di praticare “resilienza”. Ma da cosa? A me piace più pensare ad un periodo dove, invece, siamo sollecitati a “liberare nuove energie”. Forse nascoste e che non sapevamo nemmeno di possedere. Certo: importanti sono i tempi di reazione, ma ritengo di più gli strumenti che siamo in grado di (ri)generare. Ecco perché sostengo che il Covid-19, pur nella sua drammaticità costellata di sofferenze e patimenti in termini di malattia e vite umane perse, ci sta aiutando anche ad “aprire gli occhi”. Andremo sempre più, per quanto riguarda il mondo del lavoro, delle professioni, delle imprese, verso una “economia di scelta”. Abbandoneremo stereotipi dettati da una “economia di tradizione”. Passeremo da una “economia della conoscenza” ad una “economia della consapevolezza”. Sicuramente perderemo meno tempo ad “organizzare economia” piuttosto che a “fare economia”; possibilmente “buona economia”. Ci affideremo di più ad una “economia condivisa” e non ad una “economia della convenienza”. Passeremo da una “economia virtuale” (esasperata dal digitale talvolta in maniera subdola) ad una “economia reale”: fatta anche di presenza (pandemia permettendo) e che sicuramente quando l’emergenza sanitaria sarà superata, (ri)troverà una sua forte ragion d’essere, ancor più di prima. Ecco cosa, nei sistemi economici, finanziari ed imprenditoriali, ci lascerà di buono la pandemia. Tanto più se sapremo guardare oltre i problemi ed abbandonando toni da day after. Le aziende non hanno bisogno di profeti di sventura, ma di chi le aiuterà a rialzarsi. E fortunatamente, il nostro Paese, conserva buone professionalità!

Giuseppe Pino, Owner & Founder Pino Management & Partners

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