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GIULIANO VOLPE: “Ripartire dalla cultura significa parlare del futuro del nostro Paese”

Le nostre interviste al tempo del coronavirus

Giuliano Volpe è da febbraio 2020 Consigliere del Ministro Dario Franceschini al Dicastero per i Beni e le Attività Culturali e Turismo. Dal 2015 al 2018 già Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del Mibact. Professore ordinario di Archeologia presso l’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari.

 [Qui di seguito biografia completa tratta dal sito web del Professore]

Sono nato a Terlizzi il 17 agosto 1958, quarto di cinque figli, da genitori che gestivano un piccolo negozio di generi alimentari. Ho studiato al liceo classico del mio paese e poi all’Università di Bari, dove mi sono laureato in archeologia, conciliando gli studi con l’impegno politico e con piccoli lavori, per poter essere autonomo. Ho successivamente conseguito il titolo di dottore di ricerca in Archeologia all’Università di Napoli Federico II e poi il titolo di dottore di ricerca in storia alla Scuola Superiore di Studi Storici della Repubblica di San Marino e trascorso un periodo di perfezionamento all’Università di Aix-en-Provence. Dopo vari anni di precariato, anche come archeologo libero professionista, sono diventato ricercatore a 34 anni e poi, a 40 anni, professore associato nell’Università di Bari. Dal 2000 mi sono trasferito alla neonata Università di Foggia, dove sono diventato professore ordinario a 44 anni. Sono stato Presidente del Corso di laurea in Beni Culturali dal 2001 al 2005, Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dal 2005 al 2008 e dal 2008 al 2013 sono stato Rettore dell’Università di Foggia. Dal 2019 sono tornato nell’Università di Bari come ordinario di Metodologie della ricerca archeologica. Ho condotto numerose ricerche archeologiche e scavi terrestri e subacquei in Italia e all’estero, pubblicato oltre 600 contributi e dirigo alcune riviste e collane di storia e archeologia. I miei interessi di ricerca si sono concentrati in particolare sulla Daunia, dove mi occupo da trent’anni di cultura materiale, di paesaggi agrari, di ville romane e altri insediamenti rurali, di chiese e cristianizzazione delle città e delle campagne, con scavi a Canosa, Mattinata, Vieste, Lucera, Herdonia, Ascoli Satriano, ecc. Sono stato direttore editoriale di una casa editrice pugliese specializzata in archeologia, letterature e storia, apprezzata a livello internazionale, che continuo a seguire come consulente; ho fondato due cooperative di archeologia a Roma e a Bari e ho promosso una società archeologica di spin off universitario a Foggia, sono stato Presidente del DARe-Distretto tecnologico agroalimentare, nella Conferenza dei Rettori delle Università italiane ho coordinato la Commissione Biblioteche. Sono attualmente Presidente della Fondazione Apulia Felix onlus, una piccola fondazione costituita da imprenditori, professionisti e semplici cittadini che opera a Foggia nel campo della cultura e dell’impegno sociale. Sono stato prima componente, dal luglio 2012, e poi, tra aprile e luglio del 2014, e dal 15 giugno 2015 al 15 giugno 2018 sono stato Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del MiBACT. Nel 2018 sono stato designato per la terza volta consecutiva dalla Conferenza delle Regioni componente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del MiBACT. Ho dato le dimissioni dal Consiglio superiore agli inizi del 2020 per assumere la carica di consigliere del Ministro dei BACT per la formazione e ricerca. Sono stato dal 2012 al 2018 Presidente della SAMI Società degli Archeologi Medievisti Italiani, dal 2018 sono Presidente della Consulta Universitaria per le Archeologie Postclassiche e dal 2019 Presidente della Federazione delle Consulte Universitarie di Archeologia. 

 

Prof. Volpe, in un periodo di grande difficoltà per il Paese come quello che stiamo attraversando, parlare di Beni Culturali cosa significa innanzitutto?

Significa parlare del futuro del nostro Paese, lo dico senza retorica. Come spesso accade, ci si accorge dell’importanza di qualcosa (o di una persona) quando l’hai persa. Molti hanno colto il significato, anzi la necessità, del patrimonio culturale soprattutto in questo periodo difficile e tantissime persone chiuse in casa hanno trovato rifugio, forza e sollievo nella lettura di libri, nell’ascoltare musica o nel cantare insieme brani d’opera, nel vedere o rivedere film e anche nel seguire le tante proposte digitali prodotte da musei, parchi e luoghi vari della cultura. Spero che superata l’emergenza non torni tutto semplicemente come prima (anche se abbiamo tutti un grande bisogno di normalità), ma che si colga l’occasione per innovare, ad esempio con una maggiore cura nella produzione digitale e nella presenza sulla rete, sui social network, per creare, oltre alle locali ‘comunità di patrimonio’ anche comunità allargate a livello nazionale e internazionale, nel migliorare i servizi essenziali (non accessori!) per i pubblici diversi. Come ha affermato il ministro Franceschini in quel documento sottoscritto con altri ministri della cultura, bisogna ripartire dalla cultura e certamente non colpirla con tagli, come si è fatto in altri momenti di crisi economica. L’Italia ha un futuro in Europa e nel mondo solo se la cultura e il patrimonio culturale diventeranno centrali nelle strategie di sviluppo dell’intero Paese, a tutto tondo, dalla cura e pianificazione delle città, delle periferie, del territorio, delle aree interne alla tutela all’ambiente, dalla mobilità all’investimento in formazione e in ricerca. Insomma un diverso modello di sviluppo, realmente sostenibile, di maggiore qualità, più colto e più umano.

Tutela e fruizione del Patrimonio Culturale. Tema sempre oggetto di grande dibattito in Italia. Secondo Lei cambierà qualcosa?

La drammatica vicenda Covid-19 ha dimostrato chiaramente che la presunta contrapposizione tra tutela e valorizzazione-fruizione è un falso problema. Se non si coglie il valore del patrimonio culturale (questo significa valorizzazione) è difficile che si possa avere un ampio sostegno sociale nella tutela; come si può tutelare un patrimonio di cui molti non percepiscono il valore, anche in termini di miglioramento delle condizioni di vita, di lavoro, di economia pulita e sana? Mi auguro che il Parlamento ratifichi al più presto la Convenzione europea di Faro sul valore del patrimonio culturale per la società (che risale al 2005!), che ci farebbe fare un bel passo in vanti in tal senso. Dobbiamo aprire, includere, creare ‘comunità di patrimonio’, allargare il campo delle persone che considerino essenziale la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, in un Paese che ha consumi culturali purtroppo bassissimi. Smetterla con visioni elitarie e rendere la cultura realmente democratica. Abbiamo ora una opportunità irripetibile per promuovere un turismo di qualità (che non significa di élite), più lento, più profondo, meno consumistico e più attento al piacere della conoscenza dei paesaggi e delle comunità, dei tanti luoghi d’Italia, anche nelle aree interne o d’altura (come vorrebbe fare il progetto ‘Alpe’ del FAI). In questa prospettiva il patrimonio culturale, in tutte le sue articolazioni, occupa un ruolo centrale e affida un compito specifico ai professionisti della cultura.

Nel complesso e variegato mondo delle attività culturali, quali saranno i comparti che soffriranno di più, quali necessiteranno maggiore attenzione?

Difficile indicare quali, perché tutti sono stati colpiti. Il mondo del patrimonio e delle attività culturali è un sistema complesso ed è per questo che servirebbe una strategia di sistema, non semplici (per quanto necessari) aiuti. In questi giorni sono state formulate tante proposte, sia per iniziative immediate, sia per strategie di medio-lungo periodo. Non c’è dubbio che tutte, anche quelle tra loro diversissime, muovano dal desiderio di proteggere il patrimonio culturale italiano e sono quindi tutte degne di rispetto e attenzione. Ma si differenziano per le soluzioni. Ho letto richieste di una nuova generale statalizzazione di tutto, riportando in capo allo Stato l’intera filiera ‘conoscenza-tutela-valorizzazione-gestione’ (che pur essendo organica non significa affatto che lo stesso soggetto debba fare tutto). Ho intravisto fra le righe di parole di circostanza fintamente preoccupate il godimento per le difficoltà di musei come l’Egizio di Torino, che negli anni passati aveva raggiunto la piena sostenibilità tra introiti e spese (compreso un grande incremento degli investimenti nella ricerca e nell’assunzione di giovani), diventando un vero modello di gestione, quasi che se le perdite riguardino un museo gestito direttamente dalla Stato queste non contino (tanto pagano i contribuenti!). Io attribuisco un ruolo fondamentale, centrale, allo Stato e più in generale alle Istituzioni Pubbliche, sia ben chiaro. Non chiedo mica un passo indietro, ma semmai un passo avanti, ma in forme nuove: con la volontà e la capacità, ad esempio, di favorire, accompagnare, indirizzare, monitorare le energie migliori presenti nella società, sostenendo l’imprenditoria culturale di qualità, sperimentando e moltiplicando il partenariato pubblico-privato, promuovendo forme di gestione dal basso del patrimonio culturale, sostenendo il terzo settore che in ambito culturale potrebbe svolgere un ruolo decisivo, riconoscendo e dando maggiore dignità ai professionisti della cultura. Si pensi alla straordinaria esperienza delle Catacombe di Napoli al Rione Sanità, dove grazie a un’iniziativa dal basso il patrimonio culturale dà lavoro a decine di ragazzi, si è messa in moto un’economia di qualità, si è sviluppato il turismo e soprattutto si è creata una ‘comunità di patrimonio’ nel quartiere. Ora che dovremo promuovere il turismo di prossimità è a quel modello che dovremmo guardare con interesse, per moltiplicare casi positivi di recupero, valorizzazione e sana gestione, che coinvolgano i cittadini. Vanno infine superate vecchie e incomprensibili contrapposizioni tra pezzi dello stesso Stato, ad esempio Mibact e mondo dell’università, della ricerca e della scuola.

Abbiamo parlato, fino ad ora, di Patrimonio Culturale. Ma gli operatori professionali che compongono tutta la filiera come ne usciranno da questa tempesta?

La situazione dei professionisti dei beni culturali è particolarmente difficile. Sia di quanti operano nelle strutture pubbliche, che hanno dovuto rapidamente ripensare e riorganizzare il loro modo di lavorare, sia soprattutto dei liberi professionisti, molto meno garantiti, per lo più precari. Penso ad esempio agli archeologi, ma anche ai restauratori, che hanno continuato a lavorare nei cantieri anche nel pieno della pandemia, non senza rischi per la loro salute, oppure hanno dovuto sospendere ogni attività senza alcun compenso (a parte i sussidi governativi previsti per le partite iva). Si tratta di un patrimonio di conoscenze, di professionalità, di creatività al quale il Paese dovrebbe tenere maggiormente. Nel solo ambito dei professionisti dei beni culturali si tratta di numeri significativi, non inferiori a 20.000 unità (pensando solo a quelli con un titolo di terzo livello universitario che hanno partecipato all’ultimo concorso Mibact del 2016; ma in realtà sono molto più numerosi). Penso che serva, nello spirito dell’articolo 9 della Costituzione (che attribuisce alla Repubblica, alla res publica, e non solo allo Stato, il compito della tutela e dello sviluppo della cultura), e anche dell’articolo 118, che prevede la sussidiarietà, una grande alleanza tra Mibact, Mur, Regioni ed Enti locali, associazioni professionali, universo delle imprese, delle fondazioni, delle società del terzo settore per valorizzare queste risorse umane e quelle che si formano nelle nostre università. È insostenibile (e chi afferma il contrario fa solo  demagogia strumentalizzando le difficoltà, a volte la disperazione, dei professionisti) che numeri tali possano essere assorbiti nella pubblica amministrazione (anche se certamente sarebbero necessarie parecchie migliaia di assunzioni solo per porre rimedio alle fuoriuscite per pensionamenti e quota 100 ): serve un mercato del lavoro diversificato, plurale, nel quale possano trovare spazio anche nuove professioni nel campo della comunicazione, delle tecnologie digitali, dei servizi, della gestione.

Conversazione con Giuseppe Pino, Owner & Founder Pino Management & Partners

 

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