Per uscire dalla crisi generata dalla pandemia è ora di riprendere ad investire
L’efficienza da sola non basta più. Ma questo già si sapeva anche ante Covid-19. Solo alcuni spunti di riflessione, per comprendere meglio la situazione. Le nostre piccole e medie imprese italiane sono superiori alle loro analoghe tedesche ed americane per numero di ore lavorate. Di per sé un dato che dovrebbe farci ben sperare. Eppure, nonostante questo primato (non di poco conto, anzi) restano in fondo alla classifica per capitalizzazione. Ma non solo. Il quadro generale si complica ancora di più se lo sottoponiamo alla lente d’ingrandimento dei parametri produttivi. Pertanto, da primi della classe, come giustamente dovremmo essere posizionati, scendiamo repentinamente tutti i gradini della top ten. Ciò equivale a dire che, le nostre PMI, non solo faticano a reperire “capitali freschi” ( e quando si trovano sono quasi tutti a debito), ma a spiegare perché l’accesso al Venture Capital e Private Equity (ovvero a “capitali di partecipazione”) è molto selettivo in Italia. Due elementi, forse quelli maggiormente sottovalutati, spesso sono gli indicatori ai quali bisogna guardare con particolare attenzione. Soprattutto nel contesto M&A e Operations in Equity Fund. Ovvero produttività e redditività, che nel panorama delle PMI restano molto basse anche a fronte di tanto lavoro e politiche di contenimento di costi. L’ebitda delle PMI italiane è sempre parametro poco soddisfacente per un investitore internazionale. Fatte le dovute eccezioni per alcune attività virtuose (non fortunate). Il quadro generale è sostanzialmente questo: uno scarso allineamento fra “esigenze” delle aziende italiane e “requisiti” richiesti dai fondi d’investimento. Indistintamente operativi sul panorama internazionale con approccio settoriale o generalista. Entrando meglio nei dettagli e soprattutto con l’esperienza di anni di lavoro nel comparto. Posso tranquillamente affermare che molte operazioni che approdano al mercato dell’Equity Fund denotano immediatamente come il PIL (Prodotto Interno Lordo), generato da pur differenti settori merceologici e processi di innovazione (meglio: di volontà d’innovazione), fanno registrare incolmabili (talvolta inconciliabili) gap strutturali. Fenomeni tipico, ahimè, del nostro Paese. Se ne parla tanto (convegni, seminari; oggi: webinar, conference call) ma di fatto restano più intenti se non addirittura chiacchiere. Fra il “dire e il fare” resta una linea di confine molto precisa e netta fra due diversi modi di concepire l’impresa. Da una parte aziende che hanno molto sviluppata la propensione al ricorso di strumenti finanziari innovativi (si sarebbe detto un tempo, ora non più), che sono in grado di programmare con lungimiranza e prospettive il loro futuro. Specialmente dopo un’esperienza devastante come quella che stiamo attraversando a causa di Covid-19. Parliamo di aziende italiane che sanno guardare a mercati internazionali, al loro posizionamento strategico, guidate da proprietà e manager proiettati verso la ricerca di opportunità, innovazione, espansione. Propensi ad accettare nuove sfide, fra cui anche quella di spossessarsi di un pezzo dell’azienda per fare spazio ad un “nuovo compagno di viaggio”: un fondo d’investimento. Loro non hanno bisogno di essere convinte, tutto fa parte di un processo. Dall’altra, invece, aziende che non osano, ripiegate su se stesse, dove le uniche strategie capaci di elaborare sono di natura difensiva (da cosa poi non si capisce bene), di riduzione dei costi come leva primaria per aumentare marginalità e strumento per uscire dallo stato di crisi. Facili alibi (la pandemia ha certamente contribuito ad aumentarli numericamente) per “autoconvincersi” che, a monte, non ci sono altri problemi, molto più seri. Detto questo, però, soluzioni predefinite sono sempre foriere di errori. Ma un fatto è certo. Bisogna intervenire su quello che sta diventando un vero e proprio complesso d’inferiorità: non poter contare su idonei e adeguati mezzi finanziari a fronte anche di efficienza e rigore da perseguire con tenacia. Credibilità e forza. Magari dimenticandosi che il termine reputazione, per i mercati finanziari, vale di più e di tutti e due i primi (credibilità e forza) messi insieme! Ecco perché il privilegio di poter essere “partecipati” da un fondo d’investimento non deve essere vissuto come un limite, quanto piuttosto come una grande opportunità. Tra l’altro riservata a pochi, in particolare nel nostro Paese.
Giuseppe Pino, Owner & Founder Pino Management & Partners
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