Le nostre interviste al tempo del coronavirus
Fortunato Ortombina è Sovrintendente del Teatro La Fenice da novembre 2017 ed anche Direttore Artistico, carica che ricopriva già da gennaio 2007. Ha compiuto gli studi musicali e umanistici al Conservatorio Arrigo Boito e all’Università di Parma. Dal 1980 al 1997 ha lavorato al Teatro Regio di Parma in qualità di professore d’orchestra, artista del coro, aiuto maestro del coro e maestro collaboratore (suggeritore, maestro di sala e di palcoscenico). Si è laureato in Lettere a pieni voti con lode nel 1987 con una tesi sul Teatro d’opera in Italia durante l’occupazione napoleonica, e seguendo corsi di filologia verdiana con Philip Gossett. Tra il 1988 e il 1990 ha collaborato al Festival Verdi con ricerche e pubblicazioni sulla civiltà musicale di Parma negli anni della formazione di Giuseppe Verdi. Successivamente ha preso parte al progetto di edizione delle opere di Giacomo Meyerbeer promosso dalla Ricordi di Monaco di Baviera e dall¹Università di Bayreuth. Dal 1990 al 1998 ha lavorato all’Istituto nazionale di studi verdiani con particolari responsabilità sia per lo studio e la trascrizione degli autografi del compositore, tra cui l¹abbozzo della Traviata, sia per la pubblicazione dei suoi carteggi con Giulio Ricordi, Salvadore Cammarano e Antonio Somma. Nel 1993 ha pubblicato l’unico autografo ad oggi conosciuto di Verdi su testo di Alessandro Manzoni, «Sgombra, o gentil», uno studio sulla genesi di Rigoletto e parte della biografia verdiana pubblicata nel cd rom Verdi realizzato dalla De Agostini. La pratica teatrale e gli studi musicologici hanno determinato nel loro complesso una formazione e un profilo professionale per i quali è stato chiamato ad assumere incarichi in alcuni tra i maggiori teatri d’opera italiani. Dal 1997 al 1998 è assistente musicale della direzione artistica del Teatro Regio di Torino; dal 1998 al 2001 è segretario artistico del Teatro San Carlo di Napoli; dal 2001 al 2002 direttore della programmazione artistica del Teatro La Fenice; dal 2003 al 2007 coordinatore della direzione artistica del Teatro alla Scala di Milano; dall’anno accademico 2005-2006 al 2009-2010 ha insegnato Storia dei sistemi produttivi musicali alla Facoltà di Musicologia dell’Università di Pavia.
Dott. Ortombina, lo scorso novembre l’acqua alta, ora il Covid-19. Anni fa il devastante incendio del 1996. La Fenice, forse, sarà in grado di dare preziosi consigli anche agli altri teatri italiani di come si vivono e si affrontano le gravi emergenze?
Il teatro La Fenice risorge sempre! Cosa vuole: fa ormai parte del nostro codice genetico risorgere dalle ceneri…nel novembre scorso addirittura dalle acque! Ha ragione, ne abbiamo viste e vissute tante! Cosa mi sento di dire ai colleghi? Non voglio salire in cattedra. Auspico una riflessione non solo fra di noi, ma allargata. Immaginare una “Rinascita Paese” che possa fare a meno della cultura è impossibile pensarlo. Ma non bisogna darla per scontata. Ed è questo che forse lascia più perplessi, il non parlarne affatto! Il nostro Capo del Governo, giustamente, ascolta il comitato scientifico e la task force. Però poi è la politica che deve assumersi responsabilità e decisioni. E qui sembra, purtroppo, mancare una visione d’insieme. O forse ci si è concentrati solo su alcuni aspetti. Ascoltando la conferenza stampa, dove è stata illustrata la “Fase 2”, quella che dovrebbe cominciare a riattivare il Paese, ho sentito spendere tante parole per il mondo del calcio. Mi permetto solo di osservare che i teatri italiani, messi tutti insieme, vendono più biglietti del calcio. E sono stati chiusi prima degli stadi. Abbiamo bisogno di prospettive, si potevano aver già delineato linee guida da almeno quaranta giorni. Ed invece, perlomeno nel nostro settore, si naviga a vista, si brancola nel buio. Noi rappresentiamo un servizio pubblico, spesso lo dimentichiamo.
Veniamo un po’ ai numeri: finanziariamente sui bilanci e le casse del teatro come impatta il lockdown, quali sono le principali voci di esercizio da tenere particolarmente sotto controllo?
Presto detto! Questo teatro, parecchio virtuoso nell’amministrazione, può vantare un 33% di risorse finanziarie apportate direttamente dalla biglietteria. Tutto questo consente una maggiore serenità nella gestione. Non è così purtroppo per altri teatri. Ma in assenza d’incassi certi, a fronte di programmazioni dove è stato valutato un cash flow importante sui budget di produzione, le difficoltà aumentano per far quadrare conti presenti e futuri. Lei sa, perché conosce molto bene la materia, quanto ogni voce di bilancio per un teatro, lasci pochi margini d’imprevedibilità nella stesura previsionale. E, proprio per questo, la prudenza è sempre d’obbligo e mai troppa. Però non immaginando una serrata totale per mesi, mesi e mesi ed ancora non sappiamo per quanto. A maggior ragione, confidiamo almeno nell’erogazione ministeriale del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) che ci venga corrisposto senza nessuna decurtazione a fronte di attività purtroppo non svolte, e con possibilità di poterlo destinare anche per tamponare le prime emergenze finanziarie.
L’abbiamo vista nei vari telegiornali, in occasione del fenomeno dell’acqua alta, al fianco delle maestranze ad asciugare spazi e locali del teatro. Tecnici, coristi, orchestrali, come stanno reagendo a questa nuova ed inaspettata prova, quali preoccupazioni le confidano?
Le maestranze sono completamente spaesate! Veniamo, come sottolineava lei da un’altra emergenza seria, che ci aveva messo a dura prova, ma sostanzialmente diversa. In assenza del nostro palcoscenico, fino ad emergenza rientrata, ci siamo temporaneamente trasferiti al Teatro di Treviso. Oggi è tutto fermo per tutti! Non possiamo montare allestimenti, non possiamo fare prove. Siamo una “fabbrica chiusa” che non produce nulla. Una tortura psicologica! Abbiamo attivato con tutte le nostre maestranze periodiche riunioni, ovviamente in remoto, coinvolgendo anche le rappresentanze sindacali. Per pensare e ragionare sul futuro, sulla ripresa. In verità, anche per sentirci uniti, meno soli, sostenerci a vicenda in questo isolamento forzato e obbligato che ci è stato imposto.
Non si sa ancora come e quando si potranno riprendere attività di spettacolo. Lei che idea si sta facendo di quello che ci aspetterà nel dopo Covid-19?
Prima di risponderle le dico però un’altra cosa: “il silenzio” proveniente dal palcoscenico è “assordante”. Per chi non conosce appieno i teatri è anche difficile da spiegare. Ma vengo alla domanda. Dobbiamo aspettare il vaccino per poter immaginare una ripresa senza caricarci di ulteriori preoccupazioni? Probabilmente sì. Lei lo sa quanto me: la macchina dello spettacolo è un’organizzazione complessa. Allora, nel frattempo, la strategia della resistenza e della futura programmazione come possiamo immaginarla? Sappiamo per certo che non possiamo definirla in autonomia. Però non possiamo nemmeno aspettare all’infinito indicazioni da comitati tecnico-scientifici o task force. Perché gli allestimenti, prima di diventare spettacolo, necessitano tempi, prove, messa in scena. Ma dico di più, pensando al nostro pubblico. In nessun momento storico una comunità può stare lontana dall’arte in generale. E noi ne abbiamo una testimonianza. Il Teatro La Fenice ha registrato, in questi due mesi di lockdown, 20 milioni di contatti solo sul canale Youtube (quasi raddoppiati in poco tempo), di cui 3 milioni acquisiti solo nell’ultimo mese. Fa piacere, ma non può bastare, un teatro non può vivere solo nel web. Speriamo quanto prima di riuscire a superare il guado e riavere il nostro pubblico in sala. Previsioni sui tempi, però, preferisco non farne. Almeno per scaramanzia…
Conversazione con Giuseppe Pino, Owner & Founder di Pino Management & Partners
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