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MASSIMILIANO ZANE: “Il mondo della cultura ad un bivio”

Le nostre interviste al tempo del coronavirus

Massimiliano Zane è Progettista Culturale e Consulente Strategico per la Gestione e la Valorizzazione delle Risorse Culturali, membro ICOM e ICOMOS, parte della Expert of Management List of REA della Commissione Europea, Crew Member of Expert List of KEA European Affair e Independent Exper presso Council of Europe. Collabora con diverse università italiane e concorre inoltre allo sviluppo ed all’applicazione delle nuove Tecnologie per la valorizzazione della cultura come Cultural Designer per società specializzate nel settore hi-tech.

 

Emergenza covid-19, secondo Lei come ne uscirà il variegato panorama culturale italiano?

Dire a pezzi sarebbe troppo catastrofico? Allora riformulo… passato il COVID-19 alla riapertura, molte cose saranno cambiate, in noi e attorno a noi. Il settore sarà profondamente “scosso”. Tanto direttamente, quanto indirettamente. Il Coronavirus ha creato uno stato di emergenza che, tra gli altri, ha letteralmente messo in ginocchio non solo un settore, ma tutti i comparti della filiera della cultura e della creatività dell’Italia e nel mondo. Un ecosistema già endemicamente fragile, travolto da una emergenza contingente che ne ha portato alla luce tutte le sue difficoltà e contraddizioni. Tutti i nodi sono venuti al pettine in una volta sola. Una situazione a tratti surreale che di giorno in giorno si muove in una incertezza economica e sociale che potrebbe avere risvolti negativi a lungo termine; che rischia di produrre danni oggi difficilmente calcolabili, colpendo maggiormente realtà piccole o piccolissime ed acuendo differenze geografiche e disomogeneità territoriale. E rispondere colpo su colpo in queste condizioni è praticamente impossibile. Ma ciò che mi preoccupa di più non è tanto l’offerta quanto la domanda di cultura che, ad esempio, è una delle poche certezze che oggi abbiamo: non sarà (almeno immediatamente) come era pre-coronavirus. Il recupero di una vera “normalità” avrà un orizzonte temporale piuttosto lungo, piaccia o meno: se mediamente le persone si aspettano di tornare alla loro vita “abituale” entro tre/quattro mesi, un pieno ritorno alla “normalità” potrebbe attestarsi sui sei/otto mesi. Ma come ci torneranno, le persone, alla normalità? Come sarà tornare in luoghi a stretto contatto dopo mesi di fuga e isolamento? E in tutto questo, i pubblici si approcceranno allo stesso modo a musei e teatri, o al cinema? Probabilmente no. O non completamente. E in ogni caso difficilmente lo faranno seguendo i “vecchi” schemi, soprattutto per quel che riguarda l’accesso alle entità culturali (oggi stravolto). Piuttosto è probabile che le persone ne “normalizzeranno” di nuovi: sia in risposta e adattamento ad una situazione ambientale, percepita comunque potenzialmente ancora pericolosa, e sia per la rafforzata opportunità di fruizione online e gratis sperimentate a casa. Intendiamoci, i luoghi di cultura continueranno ad essere ambienti generalmente riconosciuti come uno “spazio di narrazione e di apprendimento”, volti a favorire la creatività e i processi di interazione sociale. Anzi. Probabilmente, in una qualche maniera, e se sapranno farlo adeguatamente, incrementeranno anche il proprio “valore identitario” di rappresentazione comune. Quindi non parliamo necessariamente di un aumento o di una diminuzione nella fruizione culturale, o nella partecipazione, o ancora nel coinvolgimento. Più verosimilmente la domanda culturale subirà una “ridistribuzione”. Dunque come appagheremo la voglia di cultura oggi repressa? Con un boom di presenze fisiche? O per l’allontanamento forzato, unito alle paure di un ritorno del contagio, asseconderemo le nuove modalità di accessibilità usufruite durante la quarantena? Comprendere questo, e capire oggi l’impatto del coronavirus sui cicli di pianificazione dei visitatori e sui modelli di partecipazione di domani, sarà fondamentale per favorire una reale fase di ripresa. Perché se è vero com’è vero che vivere la cultura direttamente non può essere lo stesso che farlo dal divano di casa, starà al settore ribadire questo concetto fondamentale e quindi servirà fin da ora definire non solo le strategie tecniche per il rilancio di un settore, che tocchino tanto gli incentivi alla domanda quanto i sostegni all’offerta, ma soprattutto iniziare a lavorare su una nuova (o rinnovata) empatia, per interpretare il profondo cambiamento delle relazioni umane con cui ci stiamo necessariamente confrontando.

 

Teatri e musei oggi chiusi, e non si sa per quanto ancora. Se dovesse immaginare un futuro diverso anche nella loro fruizione, quale potrebbe essere?

Come ho detto sopra, tutto dipenderà da come la gente risponderà al post-pandemia. Prefigurarsi oggi un futuro possibile è decisamente difficile: sarà il quando ad influenzare il come. Tra 5 anni confido in un ritorno alla fruizione come, più o meno, l’abbiamo sempre conosciuta: una serata all’opera sarà ancora una serata all’opera, con il pubblico, il golfo mistico e i lirici imbellettati e racchiusi tutti assieme in un teatro. Ma questo tra 5 anni, prima sarà difficile prevedere che uno starnuto in sala non faccia quanto meno preoccupare l’intera platea. Ecco che allora, ad esempio, in molti parlano di grande opportunità offerta e data dalle tecnologie, di rivoluzione digitale. Dopotutto durante questa quarantena stiamo assistendo al lancio di una miriade di contenuti culturali gratuiti: musei, video, audio, libri, film, riviste e altro. Una corsa frenetica alla condivisione (spesso improvvisata) che in un primo momento è stata caratterizzata da molto entusiasmo e sana voglia di condivisione, ma che pian piano si sta tingendo di una sorta di ossessiva volontà di testimoniare la propria esistenza, come se aleggiasse il terrore diffuso in molti luoghi della cultura di venir “dimenticati” se non “condivisi”: posto dunque sono. Questo sta sovrapponendo, se non addirittura contrapponendo (ed in ogni caso inflazionando) l’offerta di contenuti colturali. Una tendenza che potrebbe addirittura diventare pericolosa, non solo perché non abbiamo idea di quanto potrebbe durare, ma anche perché caratterizzata dal non esser strutturata, il che sta sempre più portando queste nuove formule di apprendimento, dapprima a velate forme di distorsione nei contenuti fino a livelli in cui non si capisce più il confine col mero intrattenimento (un deficit riscontrabile da ambo le parti, si intende: sia per chi riceve che chi rilascia i contenuti). Un concetto, però, sta senz’altro passando: che tutto questo è gratis. Una cultura “free”, sempre, comunque, ovunque. Un’offerta discount che si sta accumulando e che se continuerà ad Musei - PinoManagement.itaccumularsi in mesi e mesi di proposte raggiungibili dal proprio divano, da una grande opportunità di crescita condivisa, rischia di sedimentarsi nell’immaginario comune come una proposta “normale”, modificando il “gusto” dei “consumatori, i consumi quindi il mercato. Il rischio insomma è che, in buona fede, questa “accessibilità alternativa”, oggi obbligata, possa continuare a venir ricercata anche al di fuori del periodo di quarantena e, in certi segmenti di pubblico già precedentemente borderline, addirittura sostituirsi ad altre forme “classiche” di accessibilità e fruizione, minando alla base le attuali strategie di marketing e gestione culturale. Un’onda digitale che se ben gestita, cavalcata adeguatamente, dove digitale e “fisico” vanno intese come due facce della stessa medaglia e giocoforza vanno intrecciati, obiettivamente può aprire a nuove opportunità; al contrario, questa stessa onda, divenuta tsunami, potrebbe rendere d’un colpo un intero sistema impreparato a soddisfare le richieste dei pubblici, acuendo una situazione già drammatica di consumo. Servirà riuscire a governare tanto l’accessibilità e la fruibilità tradizionale quanto quella digitale, proponendole l’una a supporto dell’altra, senza scorciatoie. Separare i piani, anche solo linguisticamente, significherebbe giocoforza creare profondi squilibri. Perchè va ricordato che l’emergenza COVID-19 potrebbe, già così, innescare un significativo aumento dell’ “esclusione” dall’arte e dalla cultura dato dalle accresciute difficoltà economiche. Non sembri paradossale questa puntualizzazione: riaffermare fin da subito il “Diritto alla Bellezza” significa lottare oggi contro la povertà culturale di domani ed una sorta di esclusione culturale è tutt’altro ciò di cui ci serve ora.

 

Ed i management culturali quali trasformazioni subiranno: quali sono le urgenze già avvertite dagli operatori culturali in questo drammatico frangente? Quali saranno gli scenari professionali che dobbiamo aspettarci?

Gli istituti, ed il relativo indotto, ma soprattutto gli operatori del settore culturale e creativo, dipendenti e collaboratori, stanno affrontando drammatici scenari che rischiano di passare da un immediato futuro di emergenza ad un lungo futuro di recessione gravissima. L’impatto sul capitale circolante di organizzazioni molto fragili è altissimo; anche le istituzioni che ricevono contributi da terzi coprono una parte non indifferente delle proprie spese correnti con introiti da biglietteria. Inoltre, i mancati ricavi si traducono nella maggioranza di casi in mancate vendite, non in vendite posticipate. Se salta una data di una tournée di un cantante, difficilmente sarà recuperata; se salta uno spettacolo in cartellone, difficilmente sarà ricalendarizzato. Va inoltre tenuta in considerazione la stagionalità dei flussi. Per molti musei e teatri questo è un periodo critico per il turismo scolastico: se salta la finestra temporale di questo avvio di semestre, è difficile che la classe riprogrammi la visita per quest’anno. Senza contare che, in un clima di tale incertezza, fare alcuna programmazione è impossibile: tutto ormai guarda al 2021.Tra le pieghe di questa crisi emergono chiaramente due prospettive: da una parte quella politica, con il bisogno (urgente) di rafforzare ed armonizzare la gestione di un settore (e la sua filiera) ad oggi ancora troppo frammentato, esposto a contingenze terze imprevedibili. Un asset economico e produttivo (piace definirlo così) importante, tuttavia ancora volatile nel suo esser privo di una connotazione economica tale da permettergli di godere, tanto in tempi buoni, quanto in quelli di emergenza, di un “piano industriale” vero e specificatamente definito all’interno del quadro nazionale, che preveda azioni e supporti idonei per affrontare eventuali criticità, come qualunque altro settore produttivo cui viene richiesto di contribuire attivamente al PIL nazionale. La seconda prospettiva invece riguarda internamente il settore culturale stesso, costretto a limitare il contatto coi propri pubblici, o addirittura a cancellarlo, quindi anche a rivedere le modalità di contatto e comunicazione per mantenere vivo il rapporto con cittadini e potenziali visitatori. In questo senso sfruttare a pieno le potenzialità offerte dalle tecnologie, o dalle varie forme di smart-working, ad esempio, non è più solo una possibilità: oggi è una necessità. Ne sono un esempio le dirette streaming e le visite virtuali che difatti hanno già “aperto” molti musei in tutto il continente che in questo modo, e similmente a scuola ed università, hanno superato i propri spazi fisici di condivisione. Allora occorre riflettere sull’urgente necessità di una vera “digital-strategy” per la cultura, applicata secondo un piano di sviluppo comune e nazionale. Una prospettiva, questa, che se messa in atto potrebbe sollecitare nuovi processi di contatto, offrendo ai luoghi della cultura nuove risorse e professionalità, ma anche inedite opportunità di conoscenza per i pubblici. Piaccia o meno il #covid19 ha chiuso un’epoca (soprattutto per il settore culturale). Ora non è più il tempo delle “prove per errori”, servirà determinazione e puntualità negli interventi che non dovranno essere solo assistenziali, come purtroppo fino ad ora si sta facendo: gli interventi diretti per il settore, per ora, ammontano a circa 130 milioni per sostegni al cinema e allo “spettacolo”; altri 150 milioni invece saranno destinati ad una non meglio definita campagna di rilancio dell’immagine del Paese all’estero. Per il resto? Musei? Teatri? Biblioteche e librerie? Ci sono “voucher” ed un allargamento del ventaglio di sussidi al reddito generali… Allora viene da chiedersi dove ciò ci condurrà, perché è evidente il corto circuito tra domanda e offerta di proposte e soluzioni, prive di un vero sguardo d’insieme. Dopotutto, però, va anche detto che forse le istanze fin qui mosse dal settore non hanno aiutato il decisore: se il settore culturale è oggi costretto a muoversi in apnea in un panorama per certi versi desolante, volto ad una spasmodica ricerca di ossigeno (talvolta compulsiva e comunque rapsodica), significa che qualcosa prima della pandemia non funzionava (nei modi, nelle proposte, nei sistemi, nelle reti, nella comunicazione, delle idee e su come applicarle) ma soprattutto significa che qualcosa ancora adesso non va. Quindi serve cambiare, occorre un rinnovo non tanto di mezzi ma nei fini, della visione, a partire proprio dal metodo, dai soggetti e dalle relazioni tra soggetti, tra istituzioni e professionalità oggi non riconosciute come gli economisti della cultura, i social media manager, i mediatori culturali, gli operatori della didattica e mille altre.

 

Quali anticorpi dovrà sviluppare il mondo della cultura italiano, servirà sperimentare un vaccino per non farsi trovare impreparati nel futuro?

Il primo su tutti è la perdita dell’autoreferenzialità e questo ci conduce al secondo degli anticorpi fondamentali: la capacità di ascolto. Quindi di ascoltare il mercato e i pubblici in egual maniera, perché se prima da queste due componenti si traeva la gran parte del sostegno al settore, dopo il coronavirus sarà praticamente solo da queste che si potrà provare a ricercare una nuova sostenibilità. Quanto visto finora lascia poco spazio ad interpretazioni: le diverse forme di sostegno economico pubblico oggi individuate, nonostante possano definirsi un positivo (inedito) attenzionamento, sono uno sforzo minimo, un blando palliativo, che difficilmente potrà curare le ferite del settore. E non si potrà considerare strumenti come l’ArtBonus o fondi “solidali” gli unici risolutori della crisi, altrimenti il rischio potrebbe essere una sorta di abdicazione di responsabilità istituzionale. Per il post COVID-19 servirà ben altro: dovranno essere messe a disposizione somme ingenti, puntuali e trasversali, svincolate da ogni impedimento d’uso; tutt’altro che dal tenore assistenziale, ma tali da immettere “benzina ad alto potenziale”, e sul lungo periodo, non solo per ripartire ma per far scattare in avanti l’intero settore a supporto dall’economia “tradizionale” (che faticherà a ritrovare il proprio equilibrio) avviando un moto, quello sì, davvero inedito. Come inedita dovrà essere una compattezza strutturale del settore culturale che fino ad oggi non ha saputo creare: tra istituti ed istituti, tra garantiti e non garantiti, tra rappresentati e sotto-rappresentati, tra classificabili e inclassificabili. Insomma, il nuovo-vecchio problema che sta emergendo, ovvero che si continua a perseguire lo stesso schema di approccio alle criticità del pre-covid19, ci porta al terzo degli anticorpi fondamentali per ripartire: la duttilità ed il coraggio. Ripercorrere le stesse meccaniche significa semplicemente dimostrare che, nonostante tutto, nonostante gli sforzi ed i sacrifici profusi, non si è riusciti ad imparare nulla da ciò che sta accadendo. Al netto dell’emergenza sanitaria, il #Covid19 potrebbe diventare un’occasione per innovare l’intero asset culturale sia nel quadro politico/economico che in quello sociale. Una crisi che, al di là di tutto, sta spingendo ad una profonda riflessione in merito al ruolo che in futuro vogliamo affidare alla nostra cultura: una sfida che non sarà solo giocata sul piano del “parare il colpo”, ma sarà anche su quello del comprendere (e soprattutto far comprendere) la grande differenza che passa tra “spesa” ed “investimenti” necessari al dopo #coronavirus. Ed ecco l’ultimo degli anticorpi fondamentali: la consapevolezza. In questo senso, per il sistema culturale servirà la consapevolezza della necessità di un cambio di prospettiva e di una seria presa di coscienza che chiarisca quanto siano necessarie si forme di sostegno e di assistenza (spesa) ma anche e soprattutto quanto occorrano altrettante misure di sviluppo e rilancio (investimento). E ciò deve partire innanzitutto all’interno del settore stesso. Il rischio, tra un tavolo di concertazione ed un appello da firmare, è di non farsi portatori di istanze e richieste che abbiano una direzione oltre quella dell’emergenza. Un agire incalzante necessario ma che potrebbe portare ad ottenere risposte rapide (nel migliore dei casi) ma frettolose ed “emergenziali”, appunto, attuate secondo una interpretazione “superficiale” della crisi che sta colpendo l’ecosistema culturale. Una prospettiva che lasciando al decisore indirizzare fondi secondo la sua prospettiva ed esigenza, porterà alla creazione di formule e misure contenitive, sostanzialmente di stampo “assistenziale” (più o meno come sta accadendo ora) e che non porrebbero concretamente mano alle tante fragilità emerse fin qui in tutti i luoghi della cultura. Eppure, mai come prima oggi abbiamo un’occasione: abbiamo chiaramente davanti agli occhi praticamente tutti i ritardi e tutte le criticità che affannano il sistema culturale. E non parliamo di dati riportati in studi o report, ma di impatti oggettivi, misurabili e reali, tangibili anche al di là della sfera degli “addetti ai lavori”. E se questo stato di crisi c’è e va superato lo si può fare secondo vecchi schemi, provando ad intervenire a contenere il danno, perseguendo soluzioni tampone; oppure si può provare anche a “sfruttare” l’emergenza per ridefinirlo, quel sistema, anche nell’immaginario collettivo, gettando le basi per nuove prassi e rispondendo a vecchie richieste in maniera differente. Paradossalmente il Covid19 potrebbe diventare un’occasione per fare tutto questo (e farlo in maniera realmente costruttiva), ma servirà determinazione (e coraggio), soprattutto a partire dallo stesso settore culturale.

 

Intervista a cura di “Pino Management & Partners”

 

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