Una vocazione mai sopita: una risorsa importante
Ci stiamo occupando, da qualche mese, anche d’imprese operanti nel food ed, in particolare, del segmento agroalimentare, affiancandole in programmi d’internazionalizzazione e nei piani di reperimento d’investimenti strategici a supporto.
Contestualmente, abbiamo ritenuto necessario dedicare e compiere una ricognizione sull’andamento del settore per poter meglio soddisfare gli incarichi affidati.
Abbiamo pertanto acquisito alcuni dati Istat, riferiti all’anno 2016 –quello appena trascorso- per conservare un focus immediato della situazione.
Vogliamo, con l’occasione, dare solo qualche cenno e riferimento sintetico per far meglio comprendere la valenza del comparto in Italia.
Complessivamente la filiera agroindustriale italiana –dalle terre di coltivazione all’ultimo anello della catena distributiva, prima di arrivare al consumatore finale- è composta da circa 2 milioni d’imprese, 3,8 milioni di addetti, 130 miliardi di euro di volumi di affari.
Per certo, dall’analisi, molte le potenzialità competitive ancora completamente inespresse; tante legate ad aspetti territoriali e di cultura imprenditoriale non sempre al passo con i tempi: ovvero, da una parte poca dimestichezza e conoscenza dei mercati internazionali, dall’altra il sottodimensionamento rispetto anche ai principali competitor europei.
Quindi, politiche commerciali e di sviluppo assoggettate a dinamiche meno capaci di cogliere al meglio tutte le opportunità e la variegata offerta dei mercati, scarsa flessibilità ad affrontare i repentini cambiamenti congiunturali.
Nonostante ciò ed un gap ampiamente da colmare per riuscire a competere con maggiore dinamicità, il comparto agroalimentare, ha meglio contenuto l’impatto della crisi e già a partire dal 2015 ha manifestato i primi segnali di ripresa.
Questo grazie anche ad una forte “tradizione italica”: non dimentichiamoci che il Paese, seppur con alti e bassi, conserva una lunga storia contadina ancor prima che industriale.
Infatti i dati ufficiali del 2016 in ordine ad esportazioni di prodotti alimentari registrano un aumento di oltre il 3% rispetto al 2015, con punte quasi del 9% se riferito –sempre a confronto 2015/2016- all’ultimo trimestre dei rispettivi anni.
Dobbiamo tuttavia, anche in questo ambito, registrare come l’approvvigionamento di materie prime dall’estero si riesca ancora a negoziare a prezzi contenuti.
Non sempre –viceversa- il contrario.
Spesso, a fronte di alti costi della catena di processo-trasformazione di prodotto, approdiamo sui mercati internazionali a prezzi non sempre competitivi (rispetto anche ad altri Paesi Europei) e riducendo di fatto la domanda-richiesta al mercato italiano.
Ci salva ancora – a malapena- un interesse pressoché intatto per il “Made in Italy” anche sulle tavole straniere e come per altri comparti, in particolare il fashion, al netto della lotta alla contraffazione; purtroppo un male comune e condiviso.
Non da meno, in soccorso, piani di sviluppo, programmi ed assistenza all’export –messi in pista da ICE Agenzia per la promozione all’estero ed internazionalizzazione delle imprese italiane- che si sono posti l’obiettivo di far raggiugere al comparto agroindustriale italiano esportazioni per 50 miliardi di euro entro il 2020 ed ampliando il novero d’azione a Nord America ed Asia; Paesi a più alto tasso di crescita economica.
Giuseppe Pino, Owner & Founder
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