IMPRESA 4.0
2 settembre 2018
Giuseppe Pino - PinoManagement.it
ART BONUS
13 gennaio 2019

Mecenatismo, affari o management culturali?

Breve divagazione su cultura, impresa e dintorni ad inizio anno 2019

A proposito di management culturali: molto si legge, tanto si scrive, poco si ascolta.

O meglio: poco si vogliono ascoltare imprenditori, professionisti che, pur dimostrando attenzione e sensibilità alla cultura, spesso vengono visti con sospetto e distacco da talune realtà (prevalentemente associative e del no profit) pur ritenendone ormai indispensabile e necessaria la presenza.

Perché capita tutto questo, quali sono gli aspetti più controversi, dove e come intervenire per riconciliarsi con un mondo (quello delle imprese e del business) che gli operatori culturali ritengono indispensabile però che non sempre piace; anzi quasi mai piace. Potremmo liquidare il tutto, con una semplice battuta: difficile avere allo stesso tempo la botte piena e la moglie ubriaca.

Vedete, cari operatori culturali, direttori e responsabili di musei, teatri, stagioni musicali o, chi per voi, commercialisti, fiscalisti, consulenti a vario titolo, incaricate di redigere una mera elencazione (come fosse la classica lista della spesa) di vantaggi economico-finanziari, agevolazioni in termini di deducibilità o detraibilità da sciorinare davanti all’imprenditore di turno che avete individuato per chiedergli sostegno: non funziona più così!

E non è certo invocare un “art bonus” (per quei soggetti culturali ad oggi ascrivibili alla norma, ancora pochi in verità, ma è un altro argomento al quale prossimamente dedicherò un approfondimento) oppure una promessa -a fronte di una sponsorizzazione– di mettere in un manifesto o su un depliant pubblicitario il marchio del “benefattore” in ogni dove e nella dimensione più in vista possibile (questa sì è mercificazione, non altre considerazioni senza senso ed a sproposito che spesso ascolto).

Oggi, credetemi, di tutto ciò ad un imprenditore interessa molto poco, se non ci sono altri stimoli, può attrarre fino ad un certo punto, un’azienda non vive solo di immagine, per certo di fatturati, che si producono con azioni concrete. Se mi permetto di segnalare questo al mondo della cultura, anche in maniera un po’ forte ed irriverente e perché a volte sembra che quest’ultimo viva in un mondo tutto suo, lontanissimo dalla realtà e dove tutto gli è dovuto e spetta di diritto. Vivo al fianco delle aziende, perché non ci occupiamo solo di cultura, faccio anch’io impresa, conosco abbastanza bene le cogenti problematiche che quotidianamente affrontiamo per performare obiettivi e risultati. Viviamo tempi diventati ancora più complessi e difficili, vuoi per un’accelerazione dinamica e vorticosa di processi tecnologici che tagliano fuori chi non si adegua per tempo e nei tempi giusti; vuoi per una burocrazia che sottrae a sua volta tempo, quando non addirittura complica le cose, a chi vuol fare ed osare.

Bisogna pertanto cambiare paradigma, rivolgersi alle imprese non solo per chiedere presentandosi con programmi e progetti già confezionati, ma prima di tutto per ascoltare e domandare: “Cosa possiamo fare insieme?” Piace molto pensare che, sempre più, in ambito culturale si possa ragionare alla stregua di come si fa per un’azienda quando ricerca “capitali in partecipazione”. Provare a trasferire tutto ciò anche in ambito culturale, ad esempio: per crescere in attività, perseguire e realizzare nuove produzioni artistiche e dove, ovviamente, si guadagna tutti; pro-quota in base al deal raggiunto. So perfettamente che, quanto appena detto, potrà scandalizzare o non piacere a tanti; pazienza: rispetto il pensiero diverso, ma che non può essere il mio.

La nostra esperienza professionale di questi primi anni di attività ci conforta nell’avere scelto questa politica ed indirizzo. Vediamo, con piacere, che il modello, quando compreso, cambia radicalmente e totalmente il “modo di fare cultura” senza compromettere equilibri. L’importante è che, ciascun “attore scritturato in scena”, si attenga prettamente al ruolo e parte assegnata. L’imprenditore appassionato e partecipe di solito porta nei teatri e musei “saperi nuovi”, ricevendo per contro tanta più visibilità (altro che quella su una locandina o un programma di sala) quanto più “viene coinvolto” su tutto quello che si fa.

A differenza, fino a quando gli operatori culturali continueranno a vedere l’imprenditore come una “carta revolving”  e con un budget assegnato da utilizzare stagione dopo stagione, state pur tranquilli che non scoccherà nessuna scintilla d’amore, non ci sarà nessun Principe Azzurro (imprenditore) che sveglierà Biancaneve (teatro o museo) con un bacio per sciogliere l’incantesimo praticato da una strega malvagia (uno Stato comprese le declinazioni periferiche, che ha deciso da tempo – ormai decenni, non oggi- di destinare meno fondi alla cultura).

Ce la possiamo raccontare come vogliamo, possiamo esporre tesi marziane in convegni o scrivere manuali più avveniristici possibili sui management culturali, sostenere e adire agli effetti speciali (in virtù di un’innovazione tecnologica che presta il fianco come non mai in tempi correnti; per poi renderci conto che mancano talvolta i fondamentali e, forse proprio lì, stiamo vivendo momenti di mercificazione culturale spacciata per migliore fruizione e divulgazione). Ma se non partiamo da un concetto di base, elementare e semplicissimo, che una domanda ed una offerta -anche in ambito culturale- debbono necessariamente incontrarsi per produrre un effetto positivo, siamo già letteralmente fuori mercato.

 

Giuseppe Pino, Owner & Founder “Pino Management & Partners”

 

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