Le nostre interviste al tempo del coronavirus
Riccardo Pilat è componente della Cabina di Regia “Benessere Italia” istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, delegato al CSM FAO da oltre quattro anni, collaboratore parlamentare, membro del comitato scientifico dell’Associazione Nazionale Giovani Innovatori, membro promotore della Fondazione Atena Innova, saggista e contributor di “Formiche.net”, ideatore del Think Tank “Idee per il XXI secolo” con un network nazionale ed internazionale di oltre 200 personalità con sede a Trieste, Milano e Roma, Co-fondatore di una testata giornalistica locale on line Trieste Cafe e del Gruppo editoriale a capo. Presidente e componente in diverse associazioni italiane.
Proviamo a fare un punto sull’emergenza covid-19. Come Paese, secondo Lei, come ne usciremo?
Le analisi e le proiezioni in questo periodo si sprecano, la verità si riflette nel comprendere che la variabile “uscire” oppure no, non è una speranza o un’illusione bensì un processo che sarà costante, globale ed inclusivo. Bisogna riconsiderare l’economia nei suoi genomi produttivi e prendere atto che situazioni come quelle odierne potrebbero essere frequenti. Pensiamo solo a qualche dato: siamo oltre sette miliardi di persone, separati in cinque macro-aree economiche molto disomogenee tra loro in cui stili di vita e culture sono molto differenti, pur con l’avvento della globalizzazione. Esiste un fattore di rischio alimentato dalle continue evoluzioni geopolitiche e geoeconomiche dettate ancora volta in sintesi da un mercato novecentesco di petrolio, oro, diamanti e uranio. Il vero tema è: la sostenibilità, il crollo del concetto di “materiale finito” e la caduta del concetto di lavoro di “massa”. Se riusciremo a coniugare crescita, competenza ed ecosistema potremo prevenire tali situazioni o comunque contenerle. Per tutto ciò c’è bisogno di una retorica nuova che prenda linfa non da logiche di parte, da visioni angolari, ma da una quadratura spaziale del contesto socio-economico in cui stiamo per vivere dettato in primis dalla cultura digitale (non del digitale).
Come cambierà il mondo del public affairs e public relations?
In parte è già cambiato, ieri come oggi le relazioni sono il vero motore economico del sistema: siamo esseri sociali e propensi a scoprire idee e pensieri altrui capaci di animare la nostra conoscenza di esseri viventi in ambizioni, lavoro e crescita personale. Se pensiamo al Rinascimento, all’Umanesimo, all’Illuminismo, al Romanticismo, al Giusnaturalismo, sono stati tutti passaggi culturali importanti, ma che avevano un denominatore comune: l’uomo e le sue idee, l’uomo e la sua capacità di connettere mondi diversi anche lontani ma che avevano un contenuto di valore capace di andare “oltre”. Parliamo quindi di Human Power, il potere della persona, ossia la sua capacità di essere algoritmo non solo di relazioni interpersonali ma canale di interessi e quindi di contenuti che possano creare valore tra le persone e tra i loro indirizzi di vita. Oggi invece l’uomo all’interno della rivoluzione digitale e della costante distruzione creativa del lavoro si trova spaesato e abbandonato da un sistema produttivo asettico e privo di input che possa coinvolgerlo in maniera attiva nella vita della società: un bicchiere rovesciato che soffoca e protegge, ma che rischia di cancellare le capacità di adattamento al mercato e al nuovo mainstream culturale del lavoro in continua evoluzione. Una visione realistica che quindi ha bisogno di un metodo innovativo e di contenuti capaci di accendere quella coscienza critica intenta a far comprendere meglio la nuova stagione economico produttiva in cui al centro della domanda è l’uomo stesso e le sue idee. C’è necessità quindi di una grande rete di pensiero che nasca dal concetto di humanitas e si estenda e crei un humus culturale, che non cancelli ma che valorizzi l’identità e cambiamento allo stesso modo, facendo sintesi e ricalcolo delle attività fino ad ora poste in essere in una visione completamente innovativa. Una visione dell’ecosistema, in cui uomini, economia e progresso creino qualcosa di “nuovo”, un valore intrinseco fuori dalle logiche della molteplicità delle masse, ma capace di creare paradigmi e connessioni straordinarie per la creazione dell’Io insieme ad un Noi in cui la robotica è uno strumentum. Oggi comunicare rappresenta quindi l’unico elemento innovativo e di congiunzione per la costruzione di una nuova rivoluzione industriale in cui il capitale tecnologico e quello umano non siano in conflitto ma anzi alleati per la crescita condivisa come via d’uscita all’impasse economico finanziario ormai dominante nella società e nei suoi progressi.
Cosa si sente di consigliare agli imprenditori, come immagina una futura ripresa del sistema economico, quali strumenti serviranno?
Agli imprenditori consiglio di analizzare il mercato da una prospettiva diversa: la produzione di beni e servizi è inarrestabile, ma il capitale umano su cui far leva economica di giorno in giorno è sempre lo stesso se non in diminuzione. Il potere d’acquisto crea una discrasia tra “avere” e “poter avere” molto forte. La società dei servizi e tutte le politiche governative stanno procedendo ad una logica di smaterializzazione del possesso: una visione di leasing a lungo termine oppure “a comanda”. La proprietà diviene nel momento in cui questa è considerata millesima parte all’interno di un usufrutto costante. Non parliamo di ideologismo, ma di consapevolezza che le città stanno mutando, che i lavori cambiano, che la produzione sta creando nuovi mercati e chi non si adatta ad investire nel futuro troverà difficoltà ad un inserimento tutelato.
Vista la Sua giovane età, se un domani -magari fra vent’anni- dovesse raccontare ad una nuova generazione quanto accaduto da dove inizierebbe?
Non sono uno storico, sono un eclettico in quanto desidero prendere il meglio di ogni cosa. Se dovessi raccontare questo momento, desidererei esprimere alle nuove generazioni alcuni concetti: responsabilità dell’io nei confronti di un noi, coscienza di un noi all’interno di un “nostro” in cui il paradigma della condivisione è un valore stesso che creerà sempre plus valore per un “Bene comune”. Una cosa è certa: i sogni dei singoli possono diventare i sogni della collettività ma solo con una pacificazione sociale, in cui “essere” come valore identitario significa riconoscersi ed essere riconosciuti come tali. Non per confliggere o per lottare inutilmente gli uni contro gli altri, ma per creare un nuovo rinascimento italiano.
Intervista a cura di Pino Management & Partners
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